Tecniche di Birrificazione artigianale

Il malto
Fra i cereali adoperati per la produzione della birra per alcuni come ad esempio il mais può essere necessaria una semplice cottura, mentre l’orzo è l’unico a dover essere necessariamente maltato: gli zuccheri contenuti nei chicchi, infatti, non sono immediatamente accessibili ma è necessario attivare l’enzima presente nell’embrione che parteciperà alla lunga catena degli zuccheri.
Il malto è la cariosside, cioè il frutto secco composto da un unico seme tipico delle graminacee, che ha subito la germinazione ottenuta per mezzo del processo  di lavorazione detto maltazione.
Tale processo, finalizzato alla produzione della birra, non si limita in verità solo all’orzo ma si usa anche il malto di frumento, di avena, di mais e di altri cereali ancora e, si articola su tre fasi di lavorazione:
  • macerazione

  • germinazione
  • torrefazione
Inizialmente si macera il cereale in acqua per permettere lo sviluppo degli enzimi atti a trasformare l’amido in zuccheri solubili. Quando, a giudizio degli operatori, l’attivazione enzimatica è giunta allo stato ottimale, il processo viene interrotto riducendo l’umidità nei chicchi fino al valore minimo.
A questo punto si ha il “malto acerbo”, che bisogna cuocere. Alle temperature più basse si ottiene il minimo effetto della tostatura e si hanno i “malti chiari”', detti pale o anche 'lager', in base al paese di produzione. In rapporto all’aumento della temperatura, i malti diventano più scuri, fino ad arrivare ai 'malti neri', cioè a quelli bruciati: dal grado di tostatura dipende il colore della birra.
E' bene precisare, tuttavia, che i mastri birrai, nella produzione della birra, preparando i mosti, molto spesso utilizzano delle miscele che possono essere composte da un sol tipo di malto, o da una miscela di malti oppure ancora da malti e grano duro. E' chiaro che i componenti di tali miscele e le proporzioni esistenti fra gli stessi sono fondamentali nella scelta e nel tipo di birra che si vuole produrre: i diversi cereali utilizzati infatti presentano ognuno una serie di varietà botaniche incrementando quindi le scelte dei birrai.
Oggi l’offerta del mercato è notevole per i diversi cereali, che danno luogo a malti diversi, senza neppure tener conto di ulteriori malti artigianali o caserecci. Di base dunque i cereali si possono dividere in quattro categorie:
  • malti di base: rappresentano la gran parte, se non la totalità della miscela; sono chiari, poco cotti, con grande potere enzimatico; in base alla nazione e al produttore sono detti  comunemente lager, pale o anche pils;

  • malti additivi: sono di un colore che va dall’ambrato al nero; essendo stati cotti parecchio, hanno perso il loro potere enzimatico; di solito vengono usati in piccole quantità allo scopo di influire sul gusto e sul colore della birra;
  • malti misti: trattasi di malti di color caramello o ambrati che, pur essendo stati tostati di più rispetto ai malti di base, mantengono le loro proprietà enzimatiche per cui sono usati come base e come additivi; rientrano in questa categoria i malti  inglesi detti 'crystal';
  • cereali crudi, tostati o in gelatina: sono utilizzati in modeste quantità per conferire alla birra gusto, aroma ed altre caratteristiche, senza che prima siano stati maltati.




Ed ecco qui di seguito elencate le più diffuse ed utilizzate tipologie di malto:
  • malto Pils, già citato: morbido e dolce;

  • malto di Vienna: per le birre Lager;
  • malto di Monaco: aromatico e deciso;
  • malto Caramello: già citato: molto diffuso, dal colore che va dal caramello all’ambrato;
  • malto Crystal: il già citato e rinomato inglese utilizzato per le Ale;
  • malto Chocolate: di colore scuro per l’alta temperatura di torrefazione, riservato alle Stout;
  • malto di Avena: aggiunto spesso per la produzione delle Stout;
  • malto Smoked: essiccato all’aria o al fumo del fuoco sulla legna;
  • malto di Frumento: di aroma speziato, riservato alle Weiss;
  • malto di Segala: per dare un gusto leggermente amaro e speziato.
Il luppolo
Oggi l’ingrediente più usato per compensare la dolcezza del malto è il luppolo, una pianta rampicante dioica, nella quale cioè i fiori maschili e quelli femminili si sviluppano su piante diverse.
Se ne hanno notizie già dal tempo degli Egizi, che lo utilizzavano come erba medicinale per curare gli ammalati di lebbra e nel periodo romano ne parlava anche Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) paragonando il luppolo, nocivo per le piante, al lupo nocivo per le greggi.





Il primo documento di una vera e propria coltivazione nell’Hallertau in Baviera risale al 736; la prima legge che disciplina le norme per l’impiego del luppolo nella birra è  la  Reinheisgebot, promulgata nella stessa Baviera del 1516.
Eccetto che in Gran Bretagna, in tutti gli altri paesi si utilizzano soltanto fiori femminili non fecondati. Alla base della brattea infatti c’è una ghiandola contenente luppolina, la polvere amara composta da sostanze aromatiche e resinose, quali umulone e lupulone, nonché da acidi amari che vanno ad equilibrare la dolcezza dei malti.
In Inghilterra invece sono legali anche i luppoli fecondati, anzi pare che questi ultimi vadano molto bene per la produzione delle birre ad alta fermentazione tipiche di quel Paese.
Contrariamente all’orzo, il luppolo non è facilmente acclimatabile, per cui la sua produzione si localizza nei paesi produttori di birra compresi fra il 35° e il 55° parallelo, sia a Nord che a Sud dell’Equatore, in una zona caratterizzata dal clima temperato fresco.
La classifica di paesi produttori, solo per comodità rapportata in base alle tonnellate di luppolo prodotto, che non annovera peraltro la presenza dell’Italia per carenza di produzione nonostante i reiterati tentativi effettuati, vede al primo posto gli USA  ed, a seguire, la Germania, la Cina, la Repubblica Ceca, la Polonia, la Gran Bretagna ed altre nazioni ancora per un totale di 96,600 tonnellate.
I volumi di produzione del luppolo infatti sono spesso indicati in zentner (Zr):  1 zentner = 50 Kg. In Europa la produzione si concentra nelle regioni prima descritte: Hallertau e Tettnang in Germania, la Saaz in Boemia, Poporinge in Belgio, il Kent in Inghilterra, in ognuna delle quali il luppolo è diverso da quello prodotto in altre, per cui occorre che i mastri birrai siano esperti conoscitori delle caratteristiche chimiche ed organiche di ogni tipo di luppolo per dare la caratterizzazione voluta alla propria birra.
I tipi di luppolo infatti sono vari, per cui essi vengono classificati nelle seguenti categorie:
  • luppoli amari o bitter, contenenti più acidi amari (acidi alfa) che aromatizzanti (oli eterici); di questa categoria i più conosciuti sono: il Brewer’s  Gold ed il Northern Brewer, altrimenti detto Nordbrauer, il Premiant, il Target, il Pride of Ringwood, il Galena, il Nugget;

  • luppoli aromatici, nei quali gli elementi sono più aromatici che amari; in questa categoria spiccano il Saaz che caratterizza lo stile pilsner, il Perle, lo Spalter  ed il Tettnang in area germanica, i Golding: First Gold ed East Kent Golding nonché i Fuggler in area anglofoba ed ancora il Select ed  il Lublin;
  • luppoli misti, una categoria molto variabile e non ben definita, che presenta entrambe le caratteristiche sopra descritte; tra questi vanno segnalati l’Hallertau e relativi derivati botanici, l’Hersbrucker e relativi derivati.
Scendendo nel dettaglio i componenti del luppolo più importanti ai fini della lavorazione sono essenzialmente tre: i tannini, gli oli, gli acidi amari.
Tannino e resine rendono possibile la schiuma che si sviluppa nella birra all’atto della spillatura. Gli acidi amari conferiscono alla birra l’inconfondibile sapore amarognolo che la connota per cui risulta evidente che maggiore è la luppolatura, più amarognolo sarà il gusto della birra; gli acidi inoltre sono potenti antisettici e conservanti per cui la birra luppolata è più stabile che con altri ingredienti aromatizzanti. Ed infine è proprio il luppolo la causa della stimolazione dell’appetito prodotto dalla birra.
Il dosaggio varia da 140 a 400 gr. per ettolitro in funzione del tipo di birra da produrre, garantendo al prodotto finito il sapore caratteristico leggermente amaro, favorendo nel contempo la tenuta della schiuma e, come già detto, la naturale conservazione della birra.
Il luppolo poi è una pianta molto delicata, e quindi da proteggersi contro agenti come l’aria, la luce e l’ umidità, che potrebbero alterare le sue importanti caratteristiche. L’ideale sarebbe di utilizzarla fresca, 'in fiore' come si suol dire, preferibilmente nei pochi mesi del suo raccolto, coincidente peraltro con quello dell’uva e cioè dalla fine di agosto ad ottobre, a seconda della varietà e del posto, ma l’utilizzo del luppolo in fiore è ormai una rarità a causa delle difficoltà di conservazione.
Per l’uso al di fuori di questo periodo esistono varie tecniche di conservazione:
  • viene congelato

  • essiccato con aria calda, pressato e talvolta solforato
  • conservato sottovuoto in granuli: il pellet
In ogni forma di manipolazione tuttavia si vanno perdendo delle caratteristiche per cui l’utilizzo del prodotto conservato o dell’olio concentrato di luppolo in luogo del prodotto fresco non danno lo stesso risultato per quanto attinente all’effetto organolettico sulla birra.

Altri ingredienti aromatizzanti
Oltre al luppolo o in luogo dello stesso storicamente sono stati usati molti altri additivi botanici per la birra ed anche se per la verità l’utilizzo di tanti agenti aromatizzanti  nell'immaginario comune veniva visto come il tentativo fatto in extremis di coprire eventuali piccoli difetti del prodotto, da vari anni ad oggi  l’utilizzo di tali ingredienti è ormai diventato una questione di stile.
Come aromatizzanti si usano frutta, piante, spezie e quanto altro ancora:
  • Frutta: dalla fermentazione della frutta si ottiene il vino; oggi tuttavia nel processo produttivo di molte birre, prima della fermentazione, si aggiunge frutta o succo di frutta o sciroppo: si ottiene in tal modo una ulteriore aggiunta di zuccheri che provocano una seconda fermentazione. Da tempo sono affermate le tipologie dalla birra alla ciliegia oppure al lampone; di più recente introduzione sul mercato sono invece le birre al kiwi, all’albicocca, alla banana: specialità tipiche e quasi esclusive della Valle della Senna e del Belgio.

  • Piante: sono offerte in commercio altre birre aromatizzate con altri tipi di piante come la canapa, il rosmarino, le castagne, il tabacco, oltre al luppolo o in luogo dello stesso.
  • Spezie: prima che fosse utilizzato su larga scala il luppolo per aromatizzare la birra erano molto usate le spezie; oggi rimangono le birre aromatizzate allo zenzero, al coriandolo, alle bucce di arancia, al pepe e alla noce moscata.



In ordine di tempo gli ultimi esperimenti di alcuni produttori sono la birra al miele, tipica di alcuni microbirrifici francesi nonché la birra aromatizzata al vino.
Realizzazione nell’anno scolastico 2011-2012 a cura degli allievi: PICOLLO Giovanni, MONTRUCCHIO Simone, BORGNETTO Simone, PELLEGRINO Claudia – della Classe V^ Sezione A dell’I.I.S.S. “Giovanni PENNA” di ASTI

Elenco MALTI italiani

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 6 novembre 2013Orzi da birra



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Posted in : Approfondimenti, Produzione on 6 novembre 2013

by : Massimo Prandi

Tag:birra, caratteristiche, coltivazione, distico, mercato, orzo, orzo da birra, parametri di qualità, produzione, qualità, varietà

L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.



Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi  secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo  vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:

Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione


Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)

Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative  è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:

basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.

Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.



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 6 novembre 2013Orzi da birra



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Posted in : Approfondimenti, Produzione on 6 novembre 2013

by : Massimo Prandi

Tag:birra, caratteristiche, coltivazione, distico, mercato, orzo, orzo da birra, parametri di qualità, produzione, qualità, varietà

L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.



Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi  secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo  vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:

Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione


Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)

Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative  è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:

basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.

Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.




Elenco malti italiani coltivati (da FERMENTOBIRRA)



Elenco Luppoli per birra
https://www.fermentobirra.com/homebrewing/il-luppolo-varieta-tipolo

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