Il
malto
Fra i cereali
adoperati
per la produzione
della birra
per alcuni come ad esempio il mais
può
essere necessaria una semplice
cottura,
mentre l’orzo è l’unico a dover essere necessariamente maltato:
gli zuccheri
contenuti
nei chicchi, infatti, non sono immediatamente accessibili ma è
necessario attivare l’enzima
presente
nell’embrione
che
parteciperà alla lunga catena degli zuccheri.
Il malto
è
la cariosside,
cioè il frutto
secco
composto da un unico
seme tipico
delle graminacee,
che ha subito la germinazione ottenuta per mezzo del processo
di lavorazione detto maltazione.
Tale processo,
finalizzato alla produzione della birra, non si limita in verità
solo all’orzo ma si usa anche il malto
di frumento,
di avena, di mais e di altri cereali
ancora
e, si articola su tre
fasi di lavorazione:
- macerazione
- germinazione
- torrefazione
Inizialmente si
macera
il cereale in acqua
per permettere lo sviluppo degli enzimi atti a trasformare l’amido
in
zuccheri solubili. Quando, a giudizio degli operatori,
l’attivazione
enzimatica
è giunta allo stato ottimale, il processo
viene
interrotto riducendo l’umidità
nei
chicchi fino al valore minimo.
A questo punto si ha
il “malto acerbo”, che bisogna cuocere. Alle temperature
più
basse si ottiene il minimo effetto della tostatura
e
si hanno i “malti chiari”', detti pale o anche 'lager',
in base al paese di produzione. In rapporto all’aumento della
temperatura, i malti diventano più scuri, fino ad arrivare ai 'malti
neri', cioè a quelli bruciati:
dal grado di tostatura
dipende
il colore della birra.
E' bene precisare,
tuttavia, che i mastri
birrai,
nella produzione della birra,
preparando i mosti, molto spesso utilizzano delle miscele
che
possono essere composte da un sol tipo di malto, o da una miscela
di malti oppure
ancora da malti e grano duro. E' chiaro che i componenti
di
tali miscele e le proporzioni
esistenti
fra gli stessi sono fondamentali nella scelta e nel tipo di birra che
si vuole produrre: i diversi cereali utilizzati infatti presentano
ognuno una serie di varietà
botaniche
incrementando quindi le scelte dei birrai.
Oggi l’offerta del
mercato
è
notevole per
i diversi cereali,
che danno luogo a malti diversi, senza neppure tener conto di
ulteriori
malti artigianali
o caserecci. Di base dunque i cereali si possono dividere in quattro
categorie:
- malti di base: rappresentano la gran parte, se non la totalità della miscela; sono chiari, poco cotti, con grande potere enzimatico; in base alla nazione e al produttore sono detti comunemente lager, pale o anche pils;
- malti additivi: sono di un colore che va dall’ambrato al nero; essendo stati cotti parecchio, hanno perso il loro potere enzimatico; di solito vengono usati in piccole quantità allo scopo di influire sul gusto e sul colore della birra;
- malti misti: trattasi di malti di color caramello o ambrati che, pur essendo stati tostati di più rispetto ai malti di base, mantengono le loro proprietà enzimatiche per cui sono usati come base e come additivi; rientrano in questa categoria i malti inglesi detti 'crystal';
Ed ecco qui di
seguito elencate le più diffuse ed utilizzate tipologie
di malto:
- malto Pils, già citato: morbido e dolce;
- malto di Vienna: per le birre Lager;
- malto di Monaco: aromatico e deciso;
- malto Caramello: già citato: molto diffuso, dal colore che va dal caramello all’ambrato;
- malto Crystal: il già citato e rinomato inglese utilizzato per le Ale;
- malto Chocolate: di colore scuro per l’alta temperatura di torrefazione, riservato alle Stout;
- malto di Avena: aggiunto spesso per la produzione delle Stout;
- malto Smoked: essiccato all’aria o al fumo del fuoco sulla legna;
- malto di Frumento: di aroma speziato, riservato alle Weiss;
- malto di Segala: per dare un gusto leggermente amaro e speziato.
Oggi l’ingrediente
più usato per compensare la dolcezza
del
malto è il luppolo,
una pianta
rampicante dioica,
nella quale cioè i fiori maschili e quelli femminili si sviluppano
su piante diverse.
Se ne hanno notizie
già dal tempo degli Egizi,
che lo utilizzavano come erba
medicinale
per curare gli ammalati
di lebbra
e
nel periodo romano ne parlava anche Plinio
il Vecchio
(23-79 d.C.) paragonando il luppolo, nocivo per le piante, al lupo
nocivo per le greggi.
Il primo documento
di una vera e propria coltivazione
nell’Hallertau
in Baviera
risale
al 736; la prima legge che disciplina
le
norme per l’impiego del luppolo nella birra è la
Reinheisgebot,
promulgata nella stessa Baviera del 1516.
Eccetto che in Gran
Bretagna,
in tutti gli altri paesi si utilizzano soltanto fiori
femminili non fecondati.
Alla base della brattea infatti c’è una ghiandola
contenente
luppolina, la polvere amara composta da sostanze
aromatiche
e resinose, quali umulone e lupulone, nonché da acidi
amari
che vanno ad equilibrare la dolcezza dei malti.
In Inghilterra
invece
sono legali anche i luppoli fecondati, anzi pare che questi ultimi
vadano molto bene per la produzione delle birre
ad alta fermentazione tipiche
di quel Paese.
Contrariamente
all’orzo, il luppolo non è facilmente acclimatabile,
per cui la sua produzione si localizza nei paesi
produttori di birra
compresi fra il 35° e il 55° parallelo, sia a Nord che a Sud
dell’Equatore, in una zona caratterizzata dal clima temperato
fresco.
La classifica di
paesi
produttori,
solo per comodità rapportata in base alle tonnellate di luppolo
prodotto, che non annovera peraltro la presenza dell’Italia
per
carenza di produzione nonostante i reiterati tentativi effettuati,
vede al primo posto gli USA
ed,
a seguire, la Germania,
la Cina,
la Repubblica
Ceca,
la Polonia,
la Gran
Bretagna
ed altre nazioni ancora per un totale di 96,600 tonnellate.
I volumi di
produzione del luppolo infatti sono spesso indicati in zentner (Zr):
1 zentner = 50 Kg. In Europa
la
produzione si concentra nelle regioni prima descritte: Hallertau
e Tettnang in Germania,
la Saaz
in Boemia,
Poporinge
in Belgio,
il Kent
in Inghilterra,
in ognuna delle quali il luppolo è diverso da quello prodotto in
altre, per cui occorre che i mastri
birrai
siano esperti conoscitori delle caratteristiche chimiche ed organiche
di ogni tipo di luppolo per dare la caratterizzazione
voluta
alla propria birra.
I tipi di luppolo
infatti sono vari, per cui essi vengono classificati nelle seguenti
categorie:
- luppoli amari o bitter, contenenti più acidi amari (acidi alfa) che aromatizzanti (oli eterici); di questa categoria i più conosciuti sono: il Brewer’s Gold ed il Northern Brewer, altrimenti detto Nordbrauer, il Premiant, il Target, il Pride of Ringwood, il Galena, il Nugget;
- luppoli aromatici, nei quali gli elementi sono più aromatici che amari; in questa categoria spiccano il Saaz che caratterizza lo stile pilsner, il Perle, lo Spalter ed il Tettnang in area germanica, i Golding: First Gold ed East Kent Golding nonché i Fuggler in area anglofoba ed ancora il Select ed il Lublin;
- luppoli misti, una categoria molto variabile e non ben definita, che presenta entrambe le caratteristiche sopra descritte; tra questi vanno segnalati l’Hallertau e relativi derivati botanici, l’Hersbrucker e relativi derivati.
Scendendo nel
dettaglio i componenti
del luppolo
più importanti ai fini della lavorazione sono essenzialmente tre: i
tannini,
gli oli,
gli acidi
amari.
Tannino e resine
rendono possibile la schiuma
che
si sviluppa nella birra all’atto della spillatura.
Gli acidi amari conferiscono alla birra l’inconfondibile sapore
amarognolo che
la connota per cui risulta evidente che maggiore è la luppolatura,
più amarognolo sarà il gusto della birra; gli acidi inoltre sono
potenti
antisettici
e conservanti per cui la birra luppolata è più stabile che con
altri ingredienti aromatizzanti. Ed infine è proprio il luppolo la
causa della stimolazione
dell’appetito
prodotto dalla birra.
Il dosaggio
varia
da 140 a 400 gr. per ettolitro in funzione del tipo
di birra da produrre,
garantendo al prodotto finito il sapore caratteristico leggermente
amaro,
favorendo nel contempo la tenuta della schiuma e, come già detto, la
naturale conservazione della birra.
Il luppolo poi è
una pianta
molto delicata,
e quindi da proteggersi contro agenti come l’aria, la luce
e
l’ umidità, che potrebbero alterare le sue importanti
caratteristiche. L’ideale sarebbe di utilizzarla fresca, 'in fiore'
come si suol dire, preferibilmente nei pochi
mesi del suo raccolto,
coincidente peraltro con quello dell’uva
e
cioè dalla
fine di
agosto
ad ottobre,
a seconda della varietà e del posto, ma l’utilizzo del luppolo in
fiore è ormai una rarità a causa delle difficoltà di
conservazione.
Per l’uso al
di fuori di questo periodo
esistono varie tecniche di conservazione:
- viene congelato
- essiccato con aria calda, pressato e talvolta solforato
- conservato sottovuoto in granuli: il pellet
In ogni forma di
manipolazione
tuttavia
si vanno perdendo delle caratteristiche
per
cui l’utilizzo del prodotto conservato o dell’olio concentrato di
luppolo in luogo del prodotto fresco non danno lo stesso risultato
per quanto attinente all’effetto
organolettico
sulla birra.
Oltre al luppolo o
in luogo dello stesso storicamente
sono
stati usati molti altri
additivi botanici
per la birra ed anche se per la verità l’utilizzo di tanti agenti
aromatizzanti nell'immaginario comune veniva visto come il tentativo fatto in
extremis di coprire
eventuali piccoli difetti del prodotto,
da vari anni ad oggi l’utilizzo di tali ingredienti
è
ormai diventato una questione di stile.
Come aromatizzanti
si
usano frutta, piante, spezie
e
quanto altro ancora:
- Frutta: dalla fermentazione della frutta si ottiene il vino; oggi tuttavia nel processo produttivo di molte birre, prima della fermentazione, si aggiunge frutta o succo di frutta o sciroppo: si ottiene in tal modo una ulteriore aggiunta di zuccheri che provocano una seconda fermentazione. Da tempo sono affermate le tipologie dalla birra alla ciliegia oppure al lampone; di più recente introduzione sul mercato sono invece le birre al kiwi, all’albicocca, alla banana: specialità tipiche e quasi esclusive della Valle della Senna e del Belgio.
- Piante: sono offerte in commercio altre birre aromatizzate con altri tipi di piante come la canapa, il rosmarino, le castagne, il tabacco, oltre al luppolo o in luogo dello stesso.
Realizzazione
nell’anno scolastico 2011-2012 a cura degli allievi: PICOLLO
Giovanni, MONTRUCCHIO Simone, BORGNETTO Simone, PELLEGRINO Claudia –
della Classe V^ Sezione A dell’I.I.S.S. “Giovanni PENNA” di
ASTI
Elenco MALTI italiani
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6 novembre 2013Orzi da birra

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Posted in : Approfondimenti, Produzione on 6 novembre 2013
by : Massimo Prandi
Tag:birra, caratteristiche, coltivazione, distico, mercato, orzo, orzo da birra, parametri di qualità, produzione, qualità, varietà
L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.

Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:
Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione
Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)
Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:
basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.
Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.
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6 novembre 2013Orzi da birra

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Posted in : Approfondimenti, Produzione on 6 novembre 2013
by : Massimo Prandi
Tag:birra, caratteristiche, coltivazione, distico, mercato, orzo, orzo da birra, parametri di qualità, produzione, qualità, varietà
L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.

Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:
Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione
Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)
Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:
basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.
Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.
Elenco malti italiani coltivati (da FERMENTOBIRRA)
Elenco Luppoli per birra
https://www.fermentobirra.com/homebrewing/il-luppolo-varieta-tipolo
Elenco MALTI italiani
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L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.
Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:
Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione
Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)
Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:
basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.
Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.
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L’orzo, il cui nome scientifico è Hordeum vulgare, è un cereale la cui origine risalirebbe, secondo le teorie più accreditate, ad una specie selvatica originaria del Medio Oriente, coltivata a partire da circa il 7000 a.C. e da qui si è diffuso in tutto il mondo. Anticamente, in Egitto e in Cina, l’orzo era alla base del sostentamento della popolazione, congiuntamente al grano, ed in Grecia rappresentava il cibo dei gladiatori, chiamati “hordearii”, ovvero “mangiatori d’orzo”. Dall’epoca romana e per tutto il Medioevo l’orzo divenne secondario rispetto al grano, tanto che il pane d’orzo divenne il cibo delle classi meno abbienti.
Attualmente in Italia l’orzo occupa una superficie coltivata superiore a 350.000 ettari, con una produzione di poco inferiore a 1,5 milioni di tonnellate. Le rese unitarie sono cresciute fino a 5-6 tonnellate ad ettaro, grazie ai progressi del miglioramento genetico varietale. L’orzo si coltiva, oltre che per granella, anche come pianta da foraggio. La granella di orzo è impiegata principalmente nell’industria mangimistica, mentre il 10-15% nell’industria del malto. Altri impieghi secondari sono la produzione di surrogati del caffé, farine per dietetica alimentare, trasformazione in estratti ad uso farmaceutico ed industriale.
Dal punto di vista botanico, le varietà di orzo vengono distinte in base al numero di file di grani della spiga:
Hordeum vulgare distichon (2): presenta solo due file di grani, in posizione alterna. La spiga assume così una forma fortemente appiattita, definita in gergo tecnico “two-row”Hordeum vulgare exastichon aequale (1): orzo polistico esastico (six-row) , ovvero a sei file di semi, con cariossidi disposte a raggiera regolareHordeum vulgare exastichon inaequale (1): orzo polistico esastico (six-row), con cariossidi laterali molto divaricate e quasi sovrapposte a quelle soprastanti e sottostanti così da apparire di 4 file e quadrangolare in sezione
Hordeum vulgare exastichon (2) e distichon (1)
Le varietà two-row hanno chicchi più grossi, e maggior rendimento dei six-row, in genere presentano contenuti di azoto e proteine inferiori e glume più piccole. L’orzo six-row è più
produttivo, ha un maggior potere diastatico, quindi viene utilizzato quando le ricette birrarie prevedono molte aggiunte. L’orzo da birra impiegato tradizionalmente e che fornisce le maggiori prestazioni qualitative è costituito dalle varietà distiche.
Molte delle varietà di orzo da birra diffuse sono di origine straniera, principalmente tedesche, francesi e inglesi. Per introdurle in Italia è necessaria una accurata valutazione della loro adattabilità alle condizioni ambientali della nostra penisola e della risposta produttiva nell’ambiente di coltivazione.
In particolare, i requisiti ricercati sono:
basso contenuto d’azoto: meno dell’1,6%, corrispondente all’11,5% di sostanze azotate, che se in eccesso creano problemi nel processo di fabbricazione della birra;alta attività amilasica e diastasica in genere;alta resa in estratto: oltre 80% di carboidrati solubili;buona friabilità, con endosperma farinoso;basso contenuto di glucani, che se eccessivi possono rallentare la maltazione e la filtrazione;germinabilità, che deve essere superiore al 96% dopo 3 giorni;uniformità di calibro dei chicchi;ottimo riempimento dei grani;glumelle sottili e non pigmentate.
Tra le varietà di orzo distico più diffuso in Italia per la produzione di malto birrario si ricordano: Braemar, Tea, Scarlett, Aldebaran, Pariglia, Tunika e Beta.
Elenco malti italiani coltivati (da FERMENTOBIRRA)
Elenco Luppoli per birra
https://www.fermentobirra.com/homebrewing/il-luppolo-varieta-tipolo
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